Madrid, Granada, ma soprattutto, Siviglia.
Otto giorni sono trascorsi, e sembrano iniziati in un tempo indefinito.
C'è stata Madrid, la capitale affascinante e distaccata, art nouveau e modaiola ma rilassata, inondata dal primo sole di primavera e dai fotografi di street style appostati ad ogni angolo della Gran Via, i musei forse sopravvalutati ma con poche enormi sorprese a giustificare piedi doloranti e poi la voglia di rifugi dal sapore familiare in cui sperimentare cibo e mood il meno turistici possibile, e i parchi che "bello, ma non è come a Parigi".
C'è stato l'on the road, 600 chilometri come fosse estate, coi piedi che non riescono a non sgusciare fuori dalle ballerine e la ricerca di una stazione radio dalla programmazione accettabile, e il paesaggio che varia, dalla pianura multicolore ai clivi più dolci di distese gialline trapuntate di piantagioni ordinate di ulivi, alla roccia rossastra che colora la terra e fa quasi sbandare per la maestosità che si impone agli occhi senza un preannuncio che non sia qualche ripido tornante.
Ecco la neve sulle cime, e poco più sotto Granada, piccola e resa muta dal sole battente, col cibo biologico sapido e colorato e l'ottimo inglese che ci fa sorridere e sentire accolti prima della scalata verso l'Alhambra, tesoro che andrà riscoperto con più calma, con più tempo.
Si scappa via al tramonto, direzione Siviglia, col cielo che imbrunisce tardi e il paesaggio che si rifà vario, riecco le rocce, e il cielo limpidissimo e pieno di stelle, e Venere e Giove che si rincorrono davanti ai nostri occhi, comete romantiche a indicarci la strada, e musica classica in perfetto sottofondo.
Ci aspettano un attesissimo abbraccio e una serata di jazz live e assaggi di pietanze da ogni parte del mondo, in un locale colmo di sorrisi e movimenti del capo a ritmo, con proprietario austriaco ma che parrebbe proprio un Salernitano, e il vino dolce, e i chitarristi allegri.
E la notte è meritatamente lunga, e bella in un divano letto che obbliga, se ce ne fosse bisogno, a dormire abbracciati, prima di una giornata densissima in cui la città si schiude davanti a noi in tutta la sua meraviglia, di cibo, di atmosfera, di fortune storiche e tesori artistici, di cultura.
La colazione all'aperto al museo d'arte contemporanea, il soffermarsi nel patio colmo di ceri di una chiesa dedicata al "santo dell'impossibile", il pranzo sulle scale della statua nella piazza gremita di brio e di lavoratori in pausa, le meraviglie moresco-rinascimentali dell'Alcazar, il perdersi a passo lento nel parco, l'intrufolarsi nei cunicoli di un albergo unico al mondo, il tinto de verano al bar in piazzetta al tramonto proprio come fosse estate di ritorno dal mare, la cena a tapas sotto casa, e poco più in là l'emozione e il turbamento inatteso del flamenco vero.
E il giorno dopo la colazione all'ora di pranzo in un panificio che ci attira coi suoi profumi di buono, in cui assaggiare cinque dolci divisi per tre, la spesa nel "mercato dei ricchi" col jamon che costa ben più dell'oro e il bottegaio che accetta soldi solo dall'uomo della situazione perché "in Espana somos machisti", il pranzo sotto il sole battente nel quartiere storico di Triana, col cameriere gentile e il cibo pregno di sapori, e la passeggiata nella città deserta all'ora della siesta, e le foto sul lungofiume, e la facoltà di giurisprudenza nell'imponente ex tabacchificio reale, e il gelato nel parco, e immortalare il tramonto giallo che si riflette tra i rami, e l'ultima cena sul balcone, con la brezza che spira tiepida, la musica lieve dal pc poggiato sul davanzale, le prelibatezze locali e il Giraldillo a vista e i lampioni gialli, a immalinconire il tutto.
La colazione a sorpresa per la nostra ospite meravigliosa, con un caffè e qualche dolcetto di troppo, e poi in giro tra i tetti della città e dopo tra i resti degli insediamenti romani, e l'ultimo sforzo di resistenza richiesto ai piedi nella Cattedrale-ex moschea, per poi meritarci un pranzo indimenticabile, seduti tra le arcate, ai lati di un cortile pieno di silenzio e di luce naturale proveniente dall'alto, e una gioiosa conversazione italo-ispanica.
Il ritorno alla realtà, nel caldo troppo forte dei nostri abiti primaverili, potrebbe esser brusco, se solo i fiori, i sapori e l'emotività di questa terra non ci avessero creato intorno una bolla rassicurante e protettrice. Il corpo che pareva reticente ai primi tentativi di primavera italiani sembra finalmente uscire dal letargo, voler stiracchiarsi e incamerare energie, mentre la mente resta avvolta in quel manto di malinconia e struggente appartenenza che in pochi giorni siamo riusciti a intravedere, e che, come il flamenco e l'olé che ne cadenza il ritmo, "solo un andaluso" può davvero capire.